
Il Decreto Caivano
-Contributo pubblicato e aggiornato a Febbraio 2025-
L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159
Art. 73, co. 5 T.U. Stupefacenti e Applicabilità della Messa alla Prova
In un contesto europeo che tende ad una maggiore legalizzazione della detenzione personale di stupefacenti, l’Italia sembra aver preso la rotta opposta.
L'introduzione del Decreto Caivano, parte integrante del pacchetto di misure adottate dal Governo per contrastare la criminalità e il degrado sociale, ha portato rilevanti modifiche nel diritto penale.
Tra i punti più discussi vi sono l’aumento delle pene per alcuni reati legati agli stupefacenti e la conseguente implicita limitazione dell’accesso alla messa alla prova (MAP) per gli imputati di tali delitti. Le nuove disposizioni hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale in diversi tribunali, generando un acceso dibattito giurisprudenziale.
Una delle principali novità introdotte riguarda la modifica dell’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli stupefacenti (D.P.R. 309/1990), che disciplina il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità. Il Decreto ha aumentato il massimo edittale previsto per tale fattispecie di reato da 4 a 5 anni di reclusione.
Questa modifica non solo comporta un inasprimento significativo per fatti considerati di lieve entità, come la cessione di piccole quantità di droga, ma l’innalzamento del tetto massimo di pena ha avuto un impatto diretto sulla possibilità per gli imputati di accedere a benefici come la messa alla prova (MAP). La MAP, infatti, disciplinata dall’art. 168-bis c.p., è consentita solo per reati punibili con pene detentive non superiori a 4 anni. Con l’aumento a 5 anni, chi è accusato di violare l’art. 73, co. 5, risulta automaticamente escluso da questa misura alternativa.
Preme rilevare che l’istituto della MAP è assai benevolo per l’imputato: permette la sospensione del procedimento penale, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità e, infine, all’esito positivo del programma, consente di estinguere il reato, mantenendo una fedina penale “pulita”.
La MAP, introdotta nel sistema italiano come misura deflattiva e di reinserimento sociale, permette all’imputato di svolgere attività riparative e socialmente utili, evitando una condanna definitiva.
Con il nuovo assetto normativo, però gli imputati per il reato di lieve entità in materia di stupefacenti vengono automaticamente esclusi dalla MAP, nonostante la natura meno grave del fatto.
L’impossibilità di accedere alla messa alla prova ha sollevato preoccupazioni in relazione ai principi costituzionali, in particolare al diritto alla rieducazione del condannato (art. 27 Cost.) e al principio di proporzionalità della pena.
La disparità con altri reati puniti ben più gravi ma puniti con con pene inferiori a 4 anni ha portato alcuni tribunali a considerare questa esclusione eccessiva e non proporzionata, soprattutto nei casi in cui l’imputato risulti meritevole di un percorso rieducativo.
Tale situazione ha spinto diversi Tribunali ad accogliere le questioni di legittimità costituzionale (Tribunale di Padova), sollevate dai difensori, chiedendo alla Corte Costituzionale di esprimersi sull’eventuale contrasto tra l’aumento delle pene (e la conseguente esclusione dalla MAP) e i principi fondamentali della Carta.
Intravedono, in particolare, la violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e della finalità rieducativa della pena ex art. 27 Cost.
Quanto al primo profilo, si osserva che la Riforma Cartabia si era espressa favorevolmente verso l’applicazione della MAP, estendendone la portata a molti reati, tra cui, in tema di sostanze psicotrope, anche all’art. 82 T.U. Stupefacenti, che punisce la condotta di chi istiga all’uso illecito di sostanze stupefacenti.
La Riforma, inserendo tale articolo nella lettera c) del comma 2 dell’art. 550 c.p.p., lo ha automaticamente annoverato tra i reati per cui è possibile chiedere la MAP, anche se la pena prevista (reclusione da 1 a 6 anni) è ben maggiore al minimo e al massimo di quella prevista dall’art. 73, co. 5 T.U. Stup.!
É chiara l’ingiustificata disparità di trattamento a cui si assiste: non si capisce perché il più grave delitto di istigazione, proselitismo e induzione al reato di persona minore (già cit. art. 82) goda di un trattamento di estinzione del reato maggiormente favorevole a quello previsto dall’art. 73, co. 5.
L’ingiustificata esclusione dello spaccio di lieve entità all’istituto della MAP entra, peraltro, in contrasto con l’art. 27 Cost. che tutela la finalità rieducativa della pena. Non consente, infatti, a chi si trova per la prima volta imputato per detenzione, spaccio o coltivazione di lieve entità (spesso si tratta di ragazzi molto giovani) a riparare la propria condotta con lo svolgimento di lavori socialmente utili e con la possibilità di essere reinserito nella società.
Altri Tribunali, invece, tra cui Busto Arsizio, hanno adottato un'interpretazione costituzionalmente orientata, senza innalzare questione di legittimità costituzionale, ammettendo il ricorso alla messa alla prova anche per gli imputati di cui all'art. 73, co. 5 TU Stup.
I Giudici si sono basati su una lettura teleologica della norma, che valorizza la funzione rieducativa del diritto penale e sulla finalità della MAP che, essendo volta al reinserimento sociale, non dovrebbe essere preclusa per reati che, pur sanzionati severamente, mantengono una natura di lieve entità.